“Né vivente né morto: ci-devant, sopravvissuto, ma superstite in quanto morente. […] l’essere-per-la-morte del Demiurgo non si lascia separare, nella sua temporalità d’imminenza incessante, da una promessa”; nell’introdurre il testo di Serge Margel, Le tombeau du Dieu artisan, Derrida coglie in esso l’insorgenza di una certa “morte di dio” che sarebbe stata implicata nella genesi stessa del mondo come sua condizione di possibilità e che si sarebbe già inscritta nella più studiata delle cosmologie: il Timeo platonico. Attraverso una lettura decostruttiva, Derrida lascia trapelare dal dialogo di Platone il ‘tremolio architettonico’ nel quale questo si sarebbe da sempre trovato sotto scacco. Si tratta di pensare un demiurgo impotente, inoperoso, finito e d’istituire il suo cenotafio (tomba vuota); si tratta di scorgere in esso una spettralità strutturale – l’esser là nel sottrarsi – che apre lo spazio d’intervallo in cui si trova gettato l’uomo. È proprio a lui che resta infatti il dovere di mantenere la promessa del demiurgo in tutta la sua aporeticità: salvare il mondo dalla dissoluzione, custodire il luogo d’evento d’un mondo a venire restando nell’apertura del tempo originario e di un “noi” anteriore ad ogni comunità.
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Testo originale
Sì -
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Italiano -
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