Sconfinamenti Kafka cento anni dopo

Sconfinamenti

Kafka cento anni dopo

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È trascorso un secolo: nel giugno del 1924 Franz Kafka muore; permane ancora oggi l’enigma della sua scrittura, l’invenzione di una letteratura che si proietta oltre la letteratura, per concepire uno spazio collocato sull’abisso, nel covo di una talpa, nei vagabondaggi di un cane, nelle viscere di uno scarafaggio. Cosa significa “ri-leggere” Kafka cent’anni dopo la sua morte? Kafka è il nome della catastrofe sublime di chi, abitando la propria casa, abita sempre altrove; lontano, lontanissimo. Se oggi dovessimo immaginare uno scrittore allergico più di ogni altro a qualsiasi forma di nazionalismo, di patriottismo, di identificazione a una cultura e a una terra, o anche a una lingua, penseremmo a Kafka. La sua scrittura della sparizione, l’autodissoluzione del sé nel vortice delle parole e delle assenze, permette d’immaginare che l’essere clandestini, “minori”, rifugiati, accerchiati, sia la posizione probabilmente più appropriata per orientarsi nella catastrofe scorgendo espressioni, balbettii, situazioni, silenzi, per esistere e resistere nonostante la vergogna di vivere in un mondo per lo più immondo. Oltre la desolazione, i testi di Kafka pongono le fondamenta di una rivoluzione, di una comunità a venire. Esisterà un giorno? Questo volume collettaneo esplora la capacità dello scrittore praghese di delineare una comunità che non si materializza mai del tutto. Composta da disertori, da senza-patria, da migranti, da quelli che soffrono e da coloro che inventano una comunità affinché possa, come in un lampo, scomparire, svanire, pur sopravvivendo (nella scrittura) al suo stesso oblio.

Testi di: Pierpaolo Ascari, Thamy Ayouch, Alain Brossat, Judith Butler, Stéphane Hervé, Michael Löwy, Seloua Luste Boulbina, Luca Salza, Gianluca Solla.

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Sull'autore

Luca Salza

Salza

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