Gli ultimi dieci mesi della mia carcere

Gli ultimi dieci mesi della mia carcere

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Non semplice diario di detenzione, ma racconto di formazione alla moderazione dei costumi e alla conquista della serenità interiore secondo un ideale di compostezza classica che è modello insieme di vita e di scrittura. Il regime carcerario è paragonato a quello monastico: educa alla sobrietà, al controllo degli impulsi, al lavoro costante come antidoto alla noia e all’abbrutimento. Molto lo accomuna al romanzo Le mie prigioni di Silvio Pellico. Il fatto che innocui letterati abbiano dovuto languire per anni in carceri malsane è un potente atto di accusa contro la pretesa giustizia sovrana; non c’è giustizia dove c’è violazione dei diritti e della dignità di altri uomini. Questa la lezione, purtroppo ancora attuale, che Gazzadi impartisce ai suoi lettori.

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Sull'autore

Domenico Gazzadi

Domenico Gazzadi (Sassuolo, 1788-1868), farmacista per volontà paterna, ma letterato per vocazione, fu docente di lettere nel liceo cittadino prima di essere arrestato, nel 1822, perché aderente alla Società dei Sublimi Maestri Perfetti. Processato a Rubiera e condannato a due anni di carcere, scontò la pena nei solai del Palazzo Comunale di Modena. Negli ultimi dieci mesi di detenzione compose l’opera che qui si pubblica, in cui dà conto della quotidiana esperienza di detenuto politico. Dopo la prima pubblicazione in volume nel 2007, è emerso di recente un secondo manoscritto, che è una trascrizione tardo-ottocentesca dell’autografo, di cui contribuisce a colmare le lacune dovute allo stato di conservazione. Il testo della presente edizione risulta dalla collazione dei due manoscritti.

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